La tradizione riscoperta
Tra i presidi italiani di Slow Food presenti a Terra Madre Salone del Gusto 2016 di particolare interesse per un enofilo è quello del Vin Santo da uve affumicate dell’Alta Valle del Tevere, presidio riconosciuto nel 2016.
Un presidio nato per il recupero di una tradizione territoriale e per la valorizzazione di un vino che viene prodotto in un’areale ben definito, l’Alta Valle del Tevere, situato nella parte settentrionale dell’Umbria, tra la Toscana e le Marche.
La tradizione racconta che l’origine di questo vino nasce come imitazione del Vin Santo “classico”.
I fruttai, dove si appassivano le uve per la vinificazione del Vin Santo, erano ad uso esclusivo dei proprietari dei poderi, i mezzadri non potendoli utilizzare facevano appassire le uve, legando i grappoli a coppie, nelle cucine vicino ai camini o stufe dove gli acini assorbivano i fumi dei locali.
Gli acini affumicati venivano torchiati e il mosto fatto fermentare in caratelli usati, seguiva poi il travaso del vino in damigiane. Il vino scandiva i momenti più importanti della famiglia o offerto all’ospite di riguardo.
Questo sistema di vinificazione, con il passare del tempo e col passaggio generazionale, si stava perdendo, ma per un caso quasi fortuito, un contadino riprese a produrlo seguendo le istruzioni descritte in un opuscolo della Comunità Montana che riportava delle ricerche storiche sulle produzioni enologiche locali.
Con la disponibilità degli Enti locali e l’intervento di Slow Food inizia il riconoscimento del presidio.
Oggi una decina di produttori hanno aderito al progetto e presso sette “vinsantaie” è possibile degustare questo vino anche se il vino, al momento, non è in vendita in quanto la produzione è molto piccola e destinata all’uso famigliare.
Il vino non ha un disciplinare definito ma alcuni punti sono imprescindibili: la selezione delle uve preferibilmente da grappoli spargoli, l’utilizzo del fruttaio per l’appassimento per tre-quattro mesi delle uve che subiscono l’affumicatura a mezzo di stufe alimentate con legni come il rovere. La varietà utilizzate sono quelle locali: trebbiano, malvasia, grechetto, canaiolo.
Ovviamente, dare una carta d’identità organolettica univoca è impossibile in quanto ogni vinificatore ha un suo stile.
Il vino presente in degustazione è dell’Az. Agr. La miniera di Galparino, Città di Castello, si presenta con un colore ambrato, dal profumo etereo dove prevalgono sentori di tabacco ma non mancano note speziate e di cuoio. In bocca è dolce con una spiccata acidità, persistente. Le sensazioni di affumicato si percepiscono anche nel bicchiere vuoto. Un vino interessante, curioso, di nicchia, da provare.
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