Articolo del prof. Mario Ubigli sulla storia del Vermouth e l’attività promossa dall’OICCE nella per la riscoperta e valorizzazione del Vermouth.
OICCE (Organizzazione Interdisciplinare per la Comunicazione delle Conoscenze in Enologia)
Associazione senza scopo di lucro. Persegue la finalità di promuovere in campo nazionale la diffusione, la comunicazione e il trasferimento delle conoscenze in enologia. Promuove inoltre la conservazione del patrimonio conoscitivo locale in campo vitivinicolo.
Alcuni appunti sulla storia del Vermouth
“A Torino c’è un Palazzo, quasi tutti lo conoscono come palazzo Carpano, è in via Maria Vittoria 4, costruito nella seconda metà del seicento (1684 per il Marchese Asinari di San Marzano).
Un edificio importante posto di fronte alla chiesa dedicata a san Filippo Neri, dove in una cappella laterale della chiesa riposano le spoglie del beato Sebastiano Valfrè.
A due passi dal Palazzo, sulla sinistra apre le porte il Museo Egizio e la sede dell’Accademia italiana delle scienze, mentre sulla destra si può arrivare a piazza Carlo Alberto.
Il Palazzo ebbe diversi proprietari, tutt’ora appartiene a privati, ma ve ne fu uno, Antonio Benedetto Carpano, nato nel 1751, che riuscì a legare il proprio nome a quel sontuoso edificio.
La ragione può sembrare di poco conto, ma evidentemente non è così se il nome è giunto, e sono trascorsi oltre due secoli, ai nostri giorni, come il prodotto che, possiamo dire, ha “inventato”: il Vermouth.
Paolo Monelli nel suo celebre “O.P. ossia il vero Bevitore” dedica al Carpano un bel quadretto di cui riporto alcune pennellate:
“Credo che se il vermut non fosse stato inventato a Torino in quegli anni che precedettero la Rivoluzione francese, fra il 1780 e il 1786, a quest’ora non sarebbe ancora nato. Ci voleva, per pensarci, uno di quegli illuminati borghesi piemontesi, curiosi delle dottrine dei filosofi d’oltralpe, lettori della Encyclopédie, cultori delle nuove scienze naturali, ma che presentivano con timore l’avvicinarsi di una rivoluzione da cui temevano troppi radicali cambiamenti … Doveva essere anche un po’ pedante, lettore dell’abate Galiani, e di Goethe, e filologo dilettante, sì che pensò di battezzare quel prodotto con un nome straniero che era … il nome dell’assenzio in tedesco e per metafora significava anche “amarezza” ed era quindi augurale per via del contrasto”.
Siamo così arrivati al dunque
Il Vermouth, è di esso che dobbiamo scrivere e del rapporto stretto che legò, in passato, questo vino aromatizzato ai torinesi del tempo come, ad esempio, il Conte Camillo Benso di Cavour.
Purtroppo non molto imitato dai piemontesi attuali, anche se, verosimilmente, in molti è rimasto impresso nella memoria un po’ come mito di passate esperienze gradevoli e un po’ come nostalgia di un prodotto che era quasi scomparso e non se ne capiva bene il perché.
A proposito di Cavour, gourmet di eccezionali prestazioni, riporto quanto riferisce il catalogo della mostra “Il ballo del Conte di Cavour”:
“Non c’è dubbio che fosse anche un buongustaio con un appetito formidabile. In mattinata lo statista non rinunciava mai a un bicerin, storica bevanda calda tipica torinese, … accompagnata da paste fragranti, secche e profumate: crocion, garibaldin, brioss, chifel, biciolan, ecc. Prima di pranzo beveva l’immancabile Vermouth, un vino liquoroso aromatizzato sempre presente sui tavolini dei caffè torinesi frequentati da Cavour e dagli uomini politici del tempo”.
Va detto che, anche al tempo attuale, non tutti i piemontesi si limitano a coltivarne il mito.
Infatti, Pierstefano Berta e Giusi Mainardi, dopo la costituzione del l’Oicce (1998), nel 2001, si impegnarono, e anche molto, per riproporre all’attenzione del mondo del vino i pregi organolettici e le radicate motivazioni storiche che legavano il Vermouth al territorio subalpino.
La prima produzione della bevanda è datata 1786, tre anni prima della presa della Bastiglia e uno dopo quello in cui Vittorio Amedeo III, istituì la Reale Società Agraria, oggi Accademia di agricoltura.
Benemerita associazione che tanta parte ha avuto negli oltre due secoli successivi per lo sviluppo dell’agricoltura piemontese e che, è naturale, ha preso parte attiva all’opera attuale di rinascita del prezioso vino aromatizzato.
Attività dell’OICCE per la valorizzazione del Vermouth
Già nel 2000, l’Oicce, in collaborazione con il Comune di Canelli, nel contesto di un’attività di promozione.
Promozione che prevedeva la realizzazione di alcuni campioni di Vermouth da realizzarsi con ricette storiche.
Questo dava inizio alla sequenza di azioni, che mediante l’approfondimento della storia del territorio e lo studio delle caratteristiche chimiche e sensoriali del prodotto.
Tale attività assunse una prima forma concreta con la realizzazione di una bottiglia celebrativa.
Il 2001 è stato, per l’Oicce, anno di grande attività, nel mese di febbraio organizzava un convegno sui vini e le spezie e quindi proponeva ai lettori di Oicce Times, il quadrimestrale dell’Organizzazione, la seguente serie di articoli riguardanti i vini aromatizzati:
- “Ippocrasso: la riscoperta delle spezie d’Oriente” di G. Mainardi;
- “Metodi di preparazione di estratti naturali di piante aromatiche” di Vittorio Pregno;
- “Il Vermouth ottocentesco nel periodo d’oro del Moscato di Canelli” di P. Berta e G. Mainardi.
L’attività di studio e di divulgazione avviata l’anno precedente, nel 2002 veniva completata con un articolo, pubblicato su Oicce Times, di Della Beffa, “Erbe ed aromi in vini e liquori”.
Nel 2003 a cura di Giusi Mainardi e Stefano Berta, con i tipi delle edizioni dell’Orso di Alessandria, veniva ristampato (la prima edizione è del 1837), forse il più noto, dei testi di Paolo Francesco Staglieno:
- “Istruzione intorno al miglior modo di fare e conservare i vini in Piemonte“.
Paolo Francesco Staglieno
Nobile di nascita, ligure, generale dell’esercito napoleonico e dopo il 1815 di quello sardo, lasciata la divisa e sostituita la spada con l’alzavino, tecnico di grande valore, divenne, forse, il più risoluto assertore del vino portato a secco, solforato e chiarificato quanto basta per poter reggere al trascorrere del tempo ed al trasporto anche oltre oceano. Staglieno è figura chiave dell’enologia piemontese della prima metà del XIX secolo, operò dapprima alle dipendenze di Cavour e poi di Carlo Alberto. Morì a Torino nel 1850 le esequie furono celebrate nella chiesa di Santa Maria degli Angeli. Il Tempio ospita tuttora i frati francescani ed è situato in via Carlo Alberto angolo via Cavour. Staglieno rappresentò, da un punto di vista del mutare dei consumi, il cardine su cui ruotò l’enologia piemontese per realizzare produzioni di qualità superiore pronte a rivolgersi ai mercati anche d’oltralpe e d’oltremare.
Si deve a Giusi Mainardi e Pierstefano Berta aver condotto ricerche e diffuso le opere di Staglieno.
Staglieno non si limitò alle produzioni, sia pur innovative, dei vini secchi, ma si dedicò anche agli spumanti e alla produzione del Vermouth.
Il primo tentativo avvenne nel 1841 nelle cantine di Pollenzo, impiegò uve di seconda scelta onde non rovinare della materia prima di valore.
Nel 1842 ci riprova questa volta con uve adatte a fornire un prodotto di alta qualità. Ecco il contenuto di una lettera del 17 Marzo 1842:
“Per servire la Real Mensa di Vermut ho dovuto travasare dalla botte in bottiglia, io ve ne mando due acciò le gustiate o la fate gustare a chi meglio giudichiate. Voi troverete la gran differenza vi passa da quello stato per servizio della Corte imbottigliato l’estate passata, se stimate questo Vino Vermut non si deve vendere che a Bottiglie ed a soldi 20 la bottiglia, compreso il vetro alla cantina.”
da “Il vino del Generale – Le lettere di P.F. Staglieno”, ed. Oicce, 2015
Nell’anno che segue, il 2004, l’editore alessandrino Dell’Orso licenzia il volume dal titolo “Il vino piemontese nell’Ottocento”, una raccolta degli atti dei Convegni storici organizzati dall’Oicce negli anni 2002, 2003 e 2004.
Ulteriori interventi per lo sviluppo del Vermouth
Giusi Mainardi, nella doppia veste di responsabile del Progetto Oicce per la cultura vitivinicola e di Accademica dell’Agricoltura di Torino, presenta la relazione dal titolo:
- “Nascita e sviluppo del Vermouth piemontese”.
Dalla comunicazione citata apprendiamo che al Cavour il vino speziato veniva fornito mediante un “bottalino”, ovvero una botte da 75 L. appositamente attrezzata per recapitare il Vermouth da Grinzane a Torino.
Si leggono testimonianze sulla indiscussa fama del prodotto che conquistò anche lord D’Abercromby ambasciatore del Regno Unito a Torino.
Si menzionano anche i celebri negozi che legarono il loro nome alla qualità del prodotto, ad esempio, quello celebre di Rovere, in via San Tommaso, che contava fra i clienti anche Carlo Alberto.
Importante l’annotazione conclusiva con cui la Mainardi ha terminato il proprio contributo:
“Nel suo inserimento sociale però, gradualmente si affermarono la gradevolezza e l’eleganza rispetto alle caratteristiche di salubrità e agli aspetti medicinali. Il Vermouth diventò così il grande protagonista del rito sociale dell’aperitivo, armonizzandosi all’origine dei suoi veri splendori con lo spirito seducente del periodo Liberty”.
Nel 2010, nel corso della manifestazione internazionale che si svolse a Shangai, venne presentato il Vermouth derivato da antiche ricette, suscitando curiosità, interesse e naturalmente un elevato indice di gradimento.
Nel 2014, si menziona la collaborazione con la IULM – Master In Food Wine Communication, per il tutoraggio della tesi:
- “Rinascita del Vermouth tradizionale di Torino” (Brigitta Marianna Gilda Trotta)
Sempre nel 2014, all’annuale Congresso dell’OIV (Organisation International de la Vigne et du Vin), è stata presentata la relazione dal titolo:
- “Back to the future: the rebirth of traditional Vermouth of Turin and the creation of a dedicated processing chain of aromatic herbs”.
Ancora nel periodo 2014/15, si menziona la collaborazione con l’Associazione Terre dei Savoia e la partecipazione al Progetto Officina Aromataria.
Questa attività mirava a promuovere lo sviluppo della Filiera delle erbe officinali piemontesi.
Sempre nell’anno 2015, si sono avviati i contatti con l’Accademia dell’Agricoltura per un progetto di studio sul Vermouth di Torino.
Tentativi di definizione dei descrittori sensoriali del Vermouth
Si sono avviati i contatti con l’Organizzazione Nazionale Assaggiatori Vino (ONAV) di Asti per lo studio e la realizzazione di una scheda apposita per la degustazione dei Vermouth.
I risultati del lavoro relativo alla costituzione della scheda, svolto da Berta, Redoglia e Chiusano è stato pubblicato, nel 2017, su OICCE Times col titolo:
- “Una scheda “a ruota” per la degustazione del Vermouth“.
Gli Autori sottolineano le difficoltà intrinseche nella individuazione dei termini.
Termini che dovrebbero rappresentare il quadro sensoriale delle caratteristiche del prodotto in quanto si tratta di vini di diversa provenienza e di erbe dosate in maniera non uniforme.
Il fascino dei diversi Vermouth che dipende anche dalla loro “variabilità” sensoriale diviene un ostacolo difficilmente superabile.
Quando si cerca di rappresentarne odori e sapori con termini specifici come i descrittori piuttosto che mediante parole di tipo metaforico, improprie e generiche, ma proprio per questo di significato più elastico.
Le quattro tipologie (Dry, Bianco, Dorato, Rosso) potrebbero essere rappresentate in una mappa sensoriale, a prescindere dalle intensità ovviamente diverse, rappresentata dalle seguenti categorie sensoriali:
- Floreale/Fruttato, Vaniglia, Moscato, Arancia, Intensità aromatica, Corpo, Dolce, Amaro, Persistenza amara, Giudizio generale.
Conclusioni
A settembre del 2017 si è concordato di realizzare un libro, “Il grande libro del Vermouth di Torino” , che ne celebri la rinascita.
Questa volta con dichiarata appartenenza a un ben definito territorio, alla sua storia alle sue tradizioni e ne stabilisca, per quanto possibile, i connotati sensoriali.
Le vicende che partendo da Palazzo Carpano arrivano ai giorni nostri non possono che condurre alla denominazione Vermouth di Torino. Prosit!”.
Il 10 giugno 1991 il Regolamento (Cee) n. 1601/91 regolamenta alcune tipologie di vini e bevande tra le quali i vini aromatizzati. Stabilisce inoltre che, nella definizione delle varie categorie, si può sostituire la denominazione “vini aromatizzati” con “Vermut o Vermouth o Vermout”.
Con il Decreto del 22 marzo 2017 il Ministero delle Politiche Agricole Alimentari e Forestali riconosce l’Indicazione Geografica al “Vermut di Torino” o “Vermouth di Torino”.
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