Che cosa sono i vitigni PIWI?
PIWI è l’acronimo della parola tedesca “Pilzwiderstandfähig” ossia “viti resistenti ai funghi”.
È il marchio che identifica un gruppo di lavoro internazionale per la promozione dei vitigni resistenti ai funghi.
I vitigni PIWI sono incroci interspecifici (o ibridi), ossia viti ottenute da ibridazioni tra specie di Vitis, con metodo naturale impollinando con semi maschili il pistillo (la parte femminile del fiore).
Non sono viti trans o cis-geniche, i semi possono essere seminati, creando barbatelle contenenti le informazioni genetiche appena combinate.
Appunti di storia
A metà del 1800 arrivano in Europa dall’America tre flagelli per la vite: oidio, peronospora e fillossera.
Dopo qualche anno di ricerca si scopre che, per fronteggiare le due malattie fungine, bastano lo zolfo e il rame, ma per combattere la fillossera, un afide, bisogna rivedere il modo di coltivare la vite.
L’afide distrugge gran parte dei vigneti europei le cui radici non reggono all’attacco.
Il rimedio viene trovato innestando le viti europee sui ceppi di viti americane, resistenti alla puntura dell’afide
La soluzione ha salvato la viticoltura europea ma ha generato ulteriori problemi: una vite più soggetta alle malattie e agli insetti.
Tra la fine dell’Ottocento, gli agronomi, per ridurre i fitofarmaci e combattere la fillossera, creano centinaia di ibridi interspecifici detti “Ibridi Produttori Diretti”
I risultati non sono stati incoraggianti: i vini presentano spiacevoli sentori di foxy e contengono in media almeno il doppio di alcol metilico di quelli prodotti dalla Vitis vinifera per cui a partire dal 1936 gli stati vietarono la coltivazione.
La ricerca continua, soprattutto in Francia, con lo scopo di migliorare la qualità dell’uva creando varietà (es. Baco Noir, Baco 22).
Ebbero notevole diffusione anche per la loro tolleranza alle malattie crittogame ma, a causa della qualità scadente dei vini, furono proibite in Europa.
La realtà attuale
Negli anni ’60 iniziano sperimentazioni e studi in particolare in Germania (Julius Kühn-Institut e Istituto di Ricerca di Friburgo) per ottenere viti resistenti con caratteristiche simili alle Vitis vinifera.
In Italia alcuni centri come la Fondazione Edmund Mach di San Michele all’Adige, l’Università degli Studi di Udine (IGA) e i Vivai Cooperativi Rauscedo hanno sviluppato in modo efficace la ricerca su viti resistenti.
I risultati, ottenuti con ripetuti incroci di Vitis vinifera con altre Vitis di origine Americana, Asiatica, ecc. (resistenti alle malattie fungine), hanno raggiunto l’obbiettivo di produrre viti riconducibili alla Vitis vinifera.
Nelle nuove viti “il patrimonio genetico di Vitis vinifera, dall’iniziale 95%, oggi in alcune varietà supera il 99%”.
I vitigni, quindi, pur avendo resistenze diverse a seconda delle varietà, risultano resistenti all’oidio e alla peronospora e hanno una ridotta sensibilità alla botrite, al marciume acido e migliore resistenza al freddo.
Per la legislazione europea, considerato che il patrimonio genetico che non si differenzia dalla Vitis vinifera, le varietà resistenti sono state autorizzate per la produzione di “vini di qualità”.
Di conseguenza, nel 2022, alcuni Disciplinari modificati inserendo nelle varietà autorizzate viti resistenti (PIWI):
- il Voltis (max 5%) nella DOP Champagne e più varietà nelle IGP tedesca “Großräschener See” e francese “Pays d’Hérault”.
Ibridi intraspecifici o incroci Il termine “incrocio” si riferisce a varietà che sono il risultato dell’incrocio di due varietà della stessa specie, come ad esempio l’Albarossa: Barbera x Chatus o Incrocio Terzi: Barbera x Cabernet Franc.
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