Le parole del vino è un’analisi sull’uso di termini descrittivi del vino a cura del prof. Mario Ubigli e dott.sa Maria Carla Cravero.
L’articolo viene suddiviso in tre parti per motivi tecnico-editoriale:
- la prima parte tratta il tema de “L’importanza della parola” per l’assaggiatore;
- la seconda parte sviluppa i temi de “La degustazione” e “Le liste ed i glossari”;
- la terza parte commenta alcuni termini utilizzati per la degustazione e le relative conclusioni.
Premessa
Il rapporto tra il vino e il consumatore è caratterizzato, anche, da una sorte di dialogo che si sviluppa tramite i vari glossari che da almeno un paio di secoli si sono diffusi in strati più o meno ampi del mondo del consumo del vino.
I glossari utilizzati nella degustazione dei vini, che sono parte integrante del più generale lessico enologico, non sono riconosciuti ufficialmente, ma, almeno in parte, sono consolidati e dall’impiego nel tempo e dalla rispondenza e dalla efficace capacità di rappresentazione delle parole che li costituiscono.
La parola, la descrizione delle caratteristiche del vino è espressione dell’esistenza di una certa cultura del bere, è strumento di conversazione, di promozione, di presentazione, di star bene insieme e, non dimentichiamolo, di marketing.
Introduzione
Il vino esiste da quando il greco Dioniso lo ha “inventato” contendendo al più orientale Noè la palma di primo assaggiatore della storia.
Forse Noè doveva averlo bevuto in solitudine, mentre del primo brindisi di Dioniso non abbiamo notizie.
Tuttavia, noi sappiamo che il vino è una bevanda sociale e a dircelo non è un bevitore qualunque.
A riferirlo è l’esergo che introduce al libro di cui è autore Giancarlo Gonizzi, dal titolo “Il vino di Garibaldi”, che riporta un’osservazione del figlio della Regina Vittoria a cui è succeduto, sul trono del Regno Unito, con il nome di Edoardo VII:
“Il vino non si beve soltanto, si annusa, si osserva, si gusta, si sorseggia e… se ne parla“.
Forse non si tratta di una vera e propria degustazione, però si annusa, si gusta, a piccoli sorsi, insomma non si beve soltanto un vino, certamente “regale”, ma se ne parla.
Che mai si potrà dire di un vino?
Non siamo sicuri che la domanda sia pertinente, ma vi risponde, a scanso di equivoci, nientemeno che l’attuale presidente dell’OIV, Luigi Moio nella quarta di copertina del suo bel libro “Il respiro del vino, ed. Mondadori” dedicato agli odori della bevanda: “Il vino racchiude in un solo bicchiere l’odore del mondo intero”.
Sarebbe interessante sapere quanti sono gli “odori del mondo intero”, di solito si legge che sarebbero – odore più, odore meno – circa 10000, diecimila non sono pochi, ma Anna D’Errico neuroscienziata presso la Goethe Universität di Francoforte ci spiega, nel saggio “Il senso perfetto. Non sottovalutare il naso, ed. Codice”, donde viene questo dato tondo, tondo.
Riporta, la D’Errico, che Ernest Crocker e Lloyd Henderson, circa un secolo fa, nel 1927, cercarono di stabilire, mediante l’applicazione di un procedimento che qui sorvoliamo, quanti erano gli odori e giunsero a stimarne 6561,
“successivamente arrotondato – generosamente, verrebbe da dire – a 10.000 odori, numero che fu ripreso in alcune citazioni e poi propagandato …”.
I calcoli furono ripresi negli anni successivi ottenendo valori diversi.
Quel che è certo è che gli Odori che siamo in grado di percepire sono … tanti.
Per fortuna quelli del vino sono un po’ di meno (intervengono fattori molteplici legati alla varietà, all’affinamento, al mascheramento, alla sinergia, ecc.).
Secondo alcuni gli odori percepibili nel vino sarebbero circa 200.
Percepito un odore, per riconoscerlo o individuarlo e comunicarlo bisogna fare riferimento alla vasta gamma degli odori esterni al vino, infatti, fatte poche eccezioni (odore di moscato e di foxi ) gli odori del vino richiamano frutta, fiori, spezie, animali, caramello, ecc.
Importanza delle parole del vino
Piuttosto importante nella comunicazione del vino il ruolo dell’assaggiatore.
A questo proposito si riporta quanto Emile Peynaud (1912-2004) autore del testo “Le gôut du vin, edito da Dunod”, maestro della degustazione, docente presso l’Università di Bordeaux, riferisce dei requisiti che dovrebbe avere un buon assaggiatore:
“…il degustatore è tenuto a comunicare ciò che avverte e a formulare il proprio giudizio. Egli degusta per conoscere un vino e per parlarne. Tuttavia, il valore di un degustatore non dipende solamente dalla sua sensibilità in quanto dotato di capacità percettiva, né dalla sua capacità di riconoscere gli odori, i gusti e di coglierne le armonie relative; esso dipende anche dalla sua attitudine a descrivere le proprie impressioni. Non è sufficiente che abbia un palato esercitato, dei sensi desti e pronti, la memoria vigile e attenta e che sappia disporsi nelle migliori condizioni per valutare un vino; bisogna che possa esprimere in maniera chiara le proprie percezioni sensoriali. In breve, deve possedere un glossario sensoriale sufficientemente vasto e preciso per comunicare le proprie percezioni e motivare le proprie valutazioni”.
Ci pare che Peynaud consideri la comunicazione, la padronanza del linguaggio, alla stessa stregua della “capacità” percettiva.
A questo proposito, sostiene Rosalia Cavalieri, docente di Filosofia all’Università di Messina, che allinea fra i suoi interessi anche le problematiche della degustazione, che:
“Obiettivo finale della degustazione è perciò la trasmissione e la condivisione di questo sapere sensoriale attraverso il racconto che lo svela, lo incarna e lo precisa: la parola detta e quella scritta rappresentano l’inevitabile, quanto naturale, prolungamento di questa complessa esperienza sensoriale. Si passa da una dimensione soggettiva di percezione individuale – un’operazione cognitiva di valutazione, di discernimento e di interpretazione di ciò che si degusta: colori, profumi, aromi, sapori, consistenze – a una dimensione linguistica di verbalizzazione, quindi di condivisione di un’esperienza”.
Ci sembra che la Cavalieri abbia pienamente centrato e ottimamente descritto gli scopi della degustazione anche se non si può scordare quanto Peynaud (1) ha sottolineato nel suo testo è necessario che le parole utilizzate abbiano lo stesso significato per tutti quanti e che:
“Purtroppo bisogna ammettere che il linguaggio gustativo è spesso impreciso e ambiguo giacché le parole possono avere significati diversi da quelli usati nella lingua corrente”.
Vedremo quanto queste osservazioni sono vere di fronte ai molti termini traslati.
A proposito dei termini traslati ci soccorre e ci aiuta a capire qualcosa di più Rosalia Cavalieri (quanto segue è tratto da un articolo pubblicato su internet, dal titolo “Sinestesie della degustazione”).
“Iniziamo dalle metafore con alcuni esempi: Vino onesto, Ben vestito, Rugoso, Severo, Scolpito, Naso avvolgente, Bocca rotonda, ecc. Altrimenti si può ricorrere alle sinestesie, come Vino vellutato o asciutto o morbido. Altra risorsa sono le metonimie, qualche esempio: ‘Naso intenso’, in luogo di intensità di un odore, “Bocca legnosa” per esprimere un eccesso di carattere legnoso, ecc. quindi è possibile avvalersi delle similitudini e delle associazioni, come, ad esempio: Odore di fiori d’arancio, Profumo di miele, di cacao, ecc. Frequente è la comparsa nella descrizione dei vini di sinonimi, come Strutturato, Robusto, che sostituiscono sovente il termine Corpo oppure il contrario come Magro, Sottile, Vuoto, ecc.”.
Ricordiamo che ogni categoria di operatori della filiera che dall’acino porta al bicchiere, utilizza un proprio e specifico linguaggio. Ne riferì in passato Rabourdin (1988) in “La symbolique de la dégustation e son langage. Rev.Oenol.” e più di recente Annibali (2021) ne “Il linguaggio del vino. Ed. Ampelos“.
Ma la degustazione intesa come strumento di conoscenza e di comunicazione sostanzialmente è universale.
Oltre alle parole del vino
Poi esistono strumenti diversi come quello in uso in analisi sensoriale dove la descrizione del vino può essere libera, oppure condizionata da liste di termini precostituiti.
In analisi sensoriale l’esito dell’assaggio è determinato da alcuni fattori:
- l’assaggiatore non è uno solo, bensì le regole stabiliscono che siano almeno sei,
- le schede in uso (Noble, Pfister, e altre, forse, meno note) considerano soltanto la percezione dell’odore e dell’aroma, di cui esistono gli standards, utilissimi nella fase di preparazione del panel o gruppo di assaggio,
- l’apporto della statistica, ecc.
Un ulteriore, fondamentale elemento, di differenziazione, rispetto alla degustazione, è l’assoluta mancanza di termini traslati, che al contrario, sono sovente presenti nella descrizione e nella comunicazione abituale dei vini.
Vini e le emozioni
Oggi si osserva un grande interesse tecnico-scientifico e, conseguentemente, la comparsa di numerosi studi sulle emozioni dei bevitori, di notevole importanza anche e forse soprattutto per il Marketing.
Di per sé la comunicazione riguardante i vini tramite le emozioni da questi determinate sono sempre esistite, ma oggi esistono più strumenti in grado di interpretarle e gestirle.
Forniamo una testimonianza su quanto appena detto.
Si tratta della descrizione delle caratteristiche sensoriali di un passito di nome Diavoletto, effettuata dal produttore del vino stesso:
” … N’hai dapprima nello sturare le boccie un soavissimo odor di viola che ti bea le nari e spande quella grata fragranza che invita il gusto ad appetire. Per secondo, e qui sta il buono, nello ingollarlo tu provi un gusto soave, delizioso e potente che t’inonda di forte scossa lo stomaco, riscaldandoti e facendoti con rapida e prontissima diffusione titillare tutto l’interno in modo beato che ti dà l’estasi, né ti lascia più che desiderare, avverandosi il detto di quei nostri che scrissero essere il vino buono letizia vera de’ cuori… Oh! Veramente divino Diavoletto degno di lode senza uguali! Salve tu o dispensatore di cara gioia, delizia de’ geniali conviti e solo atto a farci scordare le basse cure del mondo”.
Il brano è riportato dal “Trattato del vino” di Ignazio Lomeni, di Magenta.
Il passito in questione è, come anticipato, prodotto da Pietro Poldi con uve Berzemino (2).
Aspetto degno di nota è stato pubblicato a Milano nel 1834, e di emozioni e assaggio dei vini non pare che se ne parlasse.
L’assaggiatore in questione descrive il vino con tre parole “soavissimo odor di viola”, per il resto chi è interessato al quadro sensoriale del vino deve pazientare.
Gli assaggi che potremmo definire emozionali, sono piacevoli, ma sono centrati sui singoli assaggiatori che non sempre riescono a catturare e, diremmo, a comunicare in modo convincente e condiviso le proprie emozioni ad altri.
Segue
(1) Fonte: Emile Peynaud – Le gôut du vin, edito da Dunod
(2) [n.d.r.] Berzemino uno dei diversi sinonimi dell’uva Marzemino
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