Il Ruchè

Il Ruchè è un vitigno raro, a bacca rossa, coltivato in un piccolo areale nel Monferrato Astigiano ubicato sulla riva destra del fiume Tanaro.

La zona è limitata a sette comuni con terreni di transizione tra marne del Monferrato e sabbie astiane plioceniche.

Ipotesi sul nome

Il nome Ruchè suggerisce qualcosa di arcano e misterioso, la sua etimologia è sconosciuta.

Enza Cavallero, nel suo libro “Vini e uomini nell’antico Piemonte”, scriveva:

 “Sarebbe certo stato affascinante poter offrire al Ruchè una lapide longobarda, magari scritta in antichi caratteri runici, anziché la modesta vigna ricavata dagli scoscesi pendii dove un tempo stavano arroccati i muri feudali che dovevano difendere il castello. Forse un giorno […] sarà possibile scoprire la magica parola Ruchè in qualche documento, ma forse è preferibile, proprio per conservare al nostro vitigno ed a suo vino quell’aureola di magico mistero, pensandolo, giunto in quell’angolo del Monferrato in un periodo non troppo lontano e considerarlo figlio della ricerca scientifica, che lo ha valorizzato assai più della legenda”.

Ipotesi confermata da Franco Mannini, padre putativo di questa DOC, che precisa::

“Non sono mai riuscito rintracciare alcun documento che l’abbia citato”

Piccole DOC, 2000

Il nome Ruchè, secondo la tradizione locale, deriverebbe dal nome dialettale di un’infezione virale, roncet (arricciamento), alla quale il Ruchè sarebbe resistente, o dal nome di un convento benedettino dedicato a San Rocco, o dall’erto arroccamento (ronchet/rocche) delle viti.

Profilo genetico delle uve Ruchè

Alcuni autori, per le sue caratteristiche aromatiche, lo avevano assimilano all’Aleatico o al Morro d’Alba, ma non ci sono mai state evidenze scientifiche a supporto di tali ipotesi.

Una ricerca, del 2009, finanziata dalla Soc. Agr. Montalbera, per tracciare la patente genetica del vitigno, svolta dal laboratorio Bioaesis di Ancona, riporta:

“Tutte le analisi effettuate hanno confermato che il Ruchè possiede un suo assetto genetico caratteristico e diverso dalle altre varietà di vite presenti nei database. L’unica varietà che si avvicina ad essa è risultata il Pinot Nero, che presenta picchi simili.” 

https://www.montalbera.it/ruche/

Un’ulteriore analisi genetica del DNA (Schneider et al. 2016) ha identificato i genitori del Ruchè: incrocio spontaneo tra Malvasia Casalini (sinonimi: Malvasia odorosissima, Malvasia aromatica di Parma), vecchia varietà parmense a rischio di estinzione, e Croatina.

Appunti di storia

Nel passato, l’uva veniva utilizzata sia come uva da mensa, sia per produrre vini dolci ad uso famigliare, da consumarsi nelle grandi occasioni.

I primi riferimenti bibliografici risalgono alla fine degli anni ’60 del secolo scorso.

Mario Soldati nel suo libro “Vino al vino” (Mondadori, 1977) dà una valutazione non lusinghiera:

“La coltivazione delle uve Ruké (ndr: scritto con la K) sta per essere abbandonata: rende poco e i affs (le api) se la mangiano tutta […] Scurissimo, profumatissimo, denso, duro potente, non dolce ma neanche secco […] Sbaglierò ma il Rukè mi è antipatico. Ripido, tutto uno scalino”.

Terzo viaggio: Autunno 1975

La riscoperta è merito del parroco di Castagnole Monferrato, don Luigi Cauda che, alla fine degli anni sessanta, iniziò a vinificare in purezza le uve Ruchè, vendemmiate nel Beneficio parrocchiale, producendo un vino secco con il nome “Il Ruchè del Parroco”.

Oltre al parroco, grazie al sostegno della sindaca Lidia Bianco di Castagnole Monferrato e della maestra Romana Valenzano, alcune aziende in sinergia con l’Università di Torino, il Centro Vite del CNR e il CREA di Asti, si interessarono alla salvaguardia genetica del vitigno e allo studio delle potenzialità enologiche dell’uva.

Questi sforzi furono premiati, la varietà fu iscritta al Registro Nazionale delle Varietà di Vite nel 1981 (codice 313), la DOC arrivò nel 1987 e la DOCG nel 2010.

Nel 2020, a seguito di una ulteriore variazione del Disciplinare, è stata introdotta la menzione “riserva”.

Stralcio del Disciplinare del Ruchè di Castagnole Monferrato DOCG

La denominazione è riservata ai vini rossi nelle tipologie:

  • Ruchè di Castagnole Monferrato,
  • Ruchè di Castagnole Monferrato riserva.

Il vino ha come base ampelografica, per tutte le tipologie, le uve:

  • Ruchè: minimo 90%, possono concorrere, da soli o congiuntamente per un massimo del 10%, i vitigni Barbera e Brachetto.

Oggi, però, i produttori in generale lo vinificano in purezza per esaltare al meglio le caratteristiche organolettiche.

La zona di produzione comprende i territori dei comuni: Castagnole Monferrato, Grana, Montemagno, Portacomaro, Refrancore, Scurzolengo e Viarigi, tutti in provincia di Asti.

Gli impianti hanno giacitura collinare, esclusa l’esposizione nord, ad un altitudine tra 120 metri e 400 metri s.l.m.

Il Disciplinare prevede per il Ruchè di Castagnole Monferrato Docg, anche con la menzione riserva e vigna: resa uva di 9 t/ha, titolo alcolometrico minimo naturale dell’11,50%.

I Ruchè di Castagnole Monferrato riserva, anche con la menzione “vigna”, devono essere sottoposti ad un periodo minimo di invecchiamento di 24 mesi di cui almeno 12 mesi in botti di legno a partire dal 1° novembre dell’anno di vendemmia.

Segue seconda parte sulle caratteristiche organolettiche e note di degustazione del “Ruchè di Castagnole Monferrato DOCG”.

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